Uso promiscuo di un immobile: un po' di chiarezza

La destinazione d'uso di un immobile serve ad indicare la sua modalità e finalità di utilizzo. Le categorie di cui siamo soliti sentire parlare sono quella residenziale, commerciale, ad uso ufficio e così via. Vi sono poi casi in cui è possibile far coincidere in un solo immobile più destinazioni d'uso: ad esempio quando si adibisce una parte della propria abitazione ad uso ufficio, per svolgervi la propria attività lavorativa, specie nell'era del Web, in cui tantissime attività possono essere svolte attraverso il telelavoro. Immobili di questo tipo vengono chiamati ad uso promiscuo.

Nel caso di locazione di un immobile ad uso promiscuo, sia come abitazione che come sede della propria attività lavorativa, vi sono dei problemi a livello giuridico e contrattuale. In Italia, al momento, esistono due leggi che disciplinano i diversi tipi di locazione: la legge n. 431 del 1998 (per immobili di tipo residenziale) e la legge n.392 del 1978 (per immobili utilizzati per attività industriali, commerciali, artigianali, alberghiere). Quest'ultima legge ammette che l'immobile possa essere utilizzato anche ad uso promiscuo. 

Per capire quale delle due leggi devono essere considerate per regolare il contratto è necessario individuare quello che è l'uso prevalente dell'immobile. Questo andrà ad incidere anche sulla durata del contratto, che potrà essere 4+4 se prevalentemente ad uso abitativo, oppure 6+6 se prevalentemente ad uso commerciale. 
L'uso promiscuo deve essere esplicitamente indicato nel contratto di locazione, il quale dovrà essere stipulato seguendo le regole contrattuali previste per l'uso prevalente che se ne vuole fare. 

L'articolo 54, comma 3, del Tuir, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, stabilisce che il professionista titolare di partita Iva che prenda in affitto un immobile ad uso promiscuo, ad esempio destinando a proprio ufficio una stanza della casa in cui abita, potrà portare in deduzione dal proprio reddito il 50% del canone di locazione pagato. Lo stesso 50% potrà essere dedotto per altre spese relative all'utilizzo strumentale dell'immobile, come quelle per le utenze, per le spese di ristrutturazione, riparazione o ammodernamento, per la rendita catastale nel caso in cui si trattasse di un immobile di proprietà.

La percentuale del 50% è un parametro standard che non dipende dall'effettiva percentuale della superficie utilizzata per svolgere l'attività, che potrebbe essere anche inferiore. Si tratta di un elemento che si rivela favorevole per i professionisti, i quali possono in questo modo avere il vantaggio di poter dedurre il 50% delle spese affrontate, ad esempio, per ristrutturare la propria abitazione. Il vantaggio offerto da questa possibilità nasce dall'esigenza di forfettizzare e rendere più semplice il calcolo del reddito, evitando l'insorgere di contenziosi per il calcolo della superficie effettivamente utilizzata per l'attività lavorativa.
Questa regola però è valida soltanto per la deducibilità dal reddito e non per la detraibilità dell'Iva, per la quale si deve risalire all'effettiva quota di costi da ripartire tra casa e lavoro.
Diventa pertanto necessario individuare in proporzione la parte di immobile destinata ad attività professionale, perché non esiste un'indicazione precisa su come effettuare il calcolo. La regola del 50% si applica solo alle spese miste: quindi a quei costi che riguardano sia l'aspetto lavorativo che quello residenziale e non a quelle spese che riguardano esclusivamente la vita privata.

Se un professionista che utilizza la propria abitazione ad uso promiscuo, ha anche, nello stesso Comune, un immobile destinato unicamente all'attività lavorativa, non potrà dedurre le spese relative all'immobile ad uso promiscuo.

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